Alfred
Hitchcock nasce a Leytonstone, vicino Londra, il 13 agosto 1899.
Suo padre William gestisce due negozi di frutta e verdura lungo l’High Road di
Leytonstone. Alfred è il terzogenito, suo fratello maggiore, William jr, ha 9
anni più di lui, sua sorella Nellie invece ne ha 7 di più.
Sarà William ad ereditare il patrimonio di famiglia, mentre il giovane Alfred
preferirà dedicarsi al cinema.
Fin da piccolo Alfred si dimostra un bambino buono e tranquillo, tanto che suo
padre è solito chiamarlo il suo "agnellino senza macchia".
All’età di 4-5 anni succede un fatto curioso: per punirlo di una marachella
suo padre decide di mandarlo al vicino commissariato di polizia con una lettera.
Il funzionario, dopo aver letto il foglio, rinchiude il povero Alfred in una
cella per una decina di minuti, ma è abbastanza da far crescere in Alfred la
paura per tutti i poliziotti!
Introverso e solitario, gli piace stare seduto in un angolino a guardare gli
altri in silenzio, non ha molti amici con cui giocare, frequenta scuole
religiose e ne cambia parecchie.
Dai 9 ai 14 anni è presso i Gesuiti, allo St. Ignatius College di Stamford Hill,
un ambiente rigido e severo, dove subisce anche punizioni corporali.
"Molto probabilmente" - come disse una volta lui stesso –
"è stato durante il periodo passato dai Gesuiti che il sentimento della
paura si è sviluppato con forza dentro di me".
Alfred non è un genio a scuola, ma ha una gran passione per la fotografia e per
tutto ciò che ha a che fare con carte topografiche, mappe, e percorsi
ferroviari. Da qui il suo enorme interesse per i viaggi in tutto il mondo.
Nel 1914, all’età di 15 anni, suo padre William muore, mentre la 1° Guerra
Mondiale è ormai alle porte.
Nel 1917 Alfred è riformato e decide quindi di arruolarsi in un corpo di
volontari del genio a Londra. Il primo impiego lo trova presso una compagnia che
si occupa di cavi elettrici, il suo compito è quello di redigere i preventivi
tecnici. Ma la sua vena artistica non viene sepolta… Frequenta corsi di
disegno, si diverte a fare le caricature dei colleghi e comincia a cimentarsi in
brevi racconti e articoli.
Contemporaneamente Alfred
Hitchcock continua a frequentare le sale cinematografiche, ma preferisce le
opere americane a quelle inglesi.
I suoi miti sono Charlie Chaplin, David Wark
Griffith, Buster Keaton, Douglas Fairbanks, Mary Pickford.
Tutto ha inizio quando
Alfred riesce ad ottenere dalla casa produttrice Famous Players l'incarico dei
disegni e delle didascalie dei film in produzione. In questo modo ha occasione
di avvicinarsi anche ad altri settori della casa di produzione, tra cui quello
della sceneggiatura e del montaggio. Sono gli anni d’oro del cinema muto
americano, quello in cui ritroviamo i capolavori di Griffith: "Nascita di
una Nazione" (1914), "Intolerance" (1916), "Il Giglio
Infranto" (1919); quelli di C. Chaplin, come "Il Monello" (1921),
e di Stroheim, "Femmine Folli" (1921).
E’ il 1922, Alfred Hitchcock debutta come regista. L’opera prima
però rimane incompiuta negli archivi della Famous Players-Lasky. Anche il
titolo è incerto, per la casa di produzione risulta "Mrs. Peabody",
mentre per lui è e resta "Number 13".
La sua seconda chance arriva nel 1923 quando subentra al regista Hugh
Croise in rotta con la produzione; nasce una nuova società: la
Balcon-Saville-Freedman e Alfred Hitchcock viene assunto in qualità di
aiuto-regista, ma questo è solo il trampolino di lancio per la sua grande e
luminosa carriera.
Ambizioso quanto basta, appena sente dire che c’è bisogno della sceneggiatura
di una commedia per un film si propone egli stesso. Vince così la sua prima
sfida, diventando sceneggiatore a tutti gli effetti. La commedia con cui deve
cimentarsi si intitola "Woman To Woman" e il film omonimo viene
diretto da Graham Cutts, un regista molto famoso a quel tempo. In quell’occasione
Hitchcock ha modo di proporsi anche come scenografo, valendosi della sua forte
esperienza di disegnatore.
Fu negli
anni venti-trenta, quando il cinema stava subendo un rapido quanto sconvolgente
cambiamento, che Hitchcock venne alla ribalta: attraverso film come
Il
giardino del piacere (1925),
L’aquila della montagna
(1926),
Il
pensionante (1926). Tutti film che rispecchiano già quella personalità che
poi avrà definitiva espressione nei film a cavallo tra gli anni ’50 e ’60,
ma che nello stesso tempo sono dei veri e propri esempi di cinema “puro”.
Nella vita di Hitchcock c’erano molte cose a proposito delle quali egli voleva
essere evasivo: fantasie colpevoli, comportamenti sociali di aggressività
passiva, desideri proibiti non sempre frenati, un’attitudine personale e
registica manipolatoria, se non addirittura tirannica. Tutte caratteristiche che
in maniera più o meno chiara alla fine diventarono elementi essenziali dei suoi
film; e soprattutto nel momento in cui il regista inglese decise di trasferirsi
negli Stati Uniti, dove poi avvenne la sua definitiva consacrazione.
A differenza, per esempio, di Welles, Hitchcock riuscì perfettamente ad
inserirsi nel “sistema” hollywoodiano, utilizzandone ampiamente tutte le
possibilità, introducendo negli schemi produttivi e nei canoni spettacolari,
sostanzialmente uniformi e ripetitivi, quella sua personale visione del mondo,
venata di cattolicesimo e di una forte dose di scetticismo, che si esprime in
una poetica che ruota attorno al concetto di “suspence”, vale a dire l’”attesa”
che accada qualcosa che ognuno, dentro di sé, non vorrebbe che accadesse,
grazie al quale il pubblico viene coinvolto in un gioco sadico che gli provoca,
inesorabilmente, un’angoscia irrefrenabile.
Già nei film che egli realizzò in Inghilterra agli inizi della sua carriera,
il motivo della suspence è alla base di racconti che, attingendo alla
tradizione di certa narrativa gialla prettamente britannica, vi introducono da
un lato un sottile umorismo e dall’altra una ricerca formale estremamente
elaborata.
Con il periodo americano, invece, nasce un Hitchcok un po’ più commerciale ed
attento ai gusti del pubblico, sfornando così oltre cinquanta film in poco più
di quaranta anni. Possiamo citare
Rebecca, la prima moglie
(1940),
Notorius,
l’amante perduta (1946),
L’ombra del dubbio (1943), dove quell’angoscia
derivante dall’ambiguità dei personaggi e delle situazioni e dall’attesa di
qualcosa di irreparabile, si manifesta in termini fortemente drammatici.
Accanto a questi primi film in cui si comincia a manifestare il gusto del
misterioso, dell’enigmatico e attraverso i quali si denota una
rappresentazione prospettica della realtà, con elementi continuamente mutevoli
che permettono di osservarla da molti angoli visuali, nascono quelli che possono
essere considerati certamente i film più completi della prima parte della sua
carriera registica:
Il delitto perfetto (1954),
La finestra sul
cortile (1954),
L’uomo che
sapeva troppo (1956),
Caccia
al ladro (1955),
La donna che visse due volte
(1958). Tutti
film basati sul tema ricorrente del dubbio, dell’ambiguità, del contrasto tra
apparenza e realtà.
La fine degli anni ’50 segna un profondo cambiamento nella poetica di
Hitchcock, che adesso si orienta verso una più complessa e prospettica
rappresentazione dell’angoscia contemporanea, in cui il dubbio e la paura
affondano nel tessuto vitale di un’esperienza di vita che è quella dei nostri
giorni. In uno stile più disteso, classico, maturo, l’abnorme, il misterioso,
l’inconsueto nascono da una realtà perfino a tratti banale, si introducono
nelle pieghe di un racconto che procede senza scosse, quasi fosse un resoconto
di fatti di cronaca. Il brivido, adesso, è un elemento indispensabile per la
resa spettacolare di una situazione drammatica che fornisce tutta una serie di
indicazione per osservare la “quotidianità” con occhi irrequieti,
indagatori. La realtà fenomenica, così, balza in primo piano, al di là delle
costrizioni cinematografiche consuete, e questo maggior realismo della
rappresentazione conferisce al film una dimensione maggiormente angosciante.
Simbolo di questo nuovo modo di intendere il cinema è forse il film più
conosciuto del regista inglese,
Psyco (1960), più un horror che un
thriller, dove il tema dell’angoscia si fa più esplicito e profondamente
radicato nella vicenda e nei personaggi. La storia di questo pazzo, Norman Bates,
che uccide i clienti del suo motel in nome di un complesso per molti versi
freudiano, è la rappresentazione della paura dell’uomo di fronte al potere
che assume gli aspetti della rispettabilità, del decoro, della normalità.
Alfred Hitchcock si spense senza suspence, senza violenza (il terrore,
dopotutto, era stato per anni parte dei suoi sogni e della sua arte) alle
09,17 della mattina del 29
aprile del 1980 a Los Angeles in California.
Vissuto in un'epoca in cui l'umanità non riesce più a controllare le proprie
azioni e vive costantemente nell'incubo dell'olocausto nucleare, Hitchcock è il
più grande poeta della paura di ogni tempo; non la paura di un tiranno o di un
assassino, ma la paura di un innocente e mediocre uomo qualunque, per esempio un
uomo di nome Alfred.