Cammei
d’autore
La prima fu casuale, solo
perché si doveva riempire lo schermo: di spalle, nella redazione di un giornale,
in ”The Logder” (1926), il suo terzo film. Col tempo, l’apparizione di
Hitchcock diventa una superstizione e poi un obbligo. “Oggi”, ha detto a
Truffaut, “per permettere alla gente di vedere il film in pace mi preoccupo
di farmi notare nei primi 5 minuti”. Da “Rebecca” in poi, compare in
tutti. Due volte, impacciato da un violoncello, incontra un suo protagonista in
una stazione (“Il caso Paradine” e “L’altro uomo”); spesso
attraversa la strada (“Il sospetto”, davanti a Joan Fontaine, “Nodo
ala gola”, nella prima inquadratura, “La congiura degli innocenti”)
passeggia sul marciapiede (“Murder”, “Il club dei trentanove”, “Il
prigioniero di Amsterdam”, “IL signore e la signora Smith”, “Paura
in palcoscenico”, “La donna che visse due volte”) o si confonde tra
la folla (a Marrakeck in ”L’uomo che sapeva troppo”, sulla riva del
Tamigi in “Frenzy”). Una volta ha i baffi (il cowboy che porta la lettera
in “Sabotatori”), una un cappello da texano (davanti all’ufficio di
Marion in “Psyco”), una gabbia di uccelli (seduto sull’autobus di fianco
a Cary Grant in “Caccia al ladro”) e una coppia di fox-terrier (“Gli
uccelli”). Le più difficili sono state quelle nei film chiusi in un solo
ambiente: in una foto su un giornale, a pubblicizzare una dieta dimagrante,
nella scialuppa di “I prigionieri dell’oceano” e in una foto di vecchi
compagni di scuola di Ray Milland nell’appartamento di “Il delitto perfetto”.
Le più divertenti sono quelle di “L’ombra del dubbio” (il giocatore con
tredici picche in mano in una partita di bridge su un treno), di “Notorius”
(l’invitato alla festa di Sebastian che beve una coppa di champagne in un
sorso), di “La finestra sul cortile” (l’uomo che ripara la pendola nella
casa del musicista). L’ultima, in “Complotto di famiglia”, è una firma:
solo la sua inconfondibile silhouette nera, dietro il vetro di un ufficio
dell’anagrafe.
Emanuela Martini,
(tratto dalla rivista Film-TV)