Truffaut
parla di Hitchcock
tratto dalla trasmissione televisiva
“Apostrophes” con Roman Polanski
Bernard Pivot:
Ho qui l’edizione definitiva
di un libro su Hitchcock che ha pubblicato qualche anno fa. Questo libro aveva
due scopi. Li ha raggiunti entrambi. Voleva intervistare il suo
maestro Hitchcock per conoscerlo meglio. E’ anche riuscito a farlo apprezzare
negli stati Uniti, dove non era considerato un grande regista.
François Truffaut:
Era molto famoso, ma poco stimato. All’epoca conduceva un programma radiofonico
settimanale. Raccontava storie di suspense di cinquanta minuti. Ebbero molto
successo. Prima di ogni puntata lui inscenava uno sketch comico. I suoi film
avevano un gran successo. A quel tempo erano usciti “L’uomo che sapeva troppo”,
“La finestra sul cortile” e “Caccia al ladro”. Avevano avuto un
successo clamoroso. Però i critici lo trattavano con sufficienza. Gli inglesi lo
disprezzavano per invidia. Non tolleravano che avesse successo fuori
dall’Inghilterra. Anche gli americani erano sprezzanti. Lo stimavano solo i miei
amici francesi dei “Cahiers du cinéma”.
Bernard Pivot:
Si, come Chabrol.
François Truffaut:
Per noi i suoi film americani erano migliori di quelli inglesi. Andava sempre
avanti ed era padrone della propria arte. Questo libro è il proseguimento del
nostro lavoro. Lo iniziai nel ’62 dopo aver girato un paio di film. In quel
momento lui stava ultimando “Gli uccelli”.
Bernard Pivot:
Dopo la sua morte ha cambiato l’introduzione. Ha aggiunto gli ultimi anni della
vita di Hitchcock. Il libro ne racchiude tutta la biografia e filmografia.
Contiene illustrazioni eccezionali. La vostra intervista è sbalorditiva. Mette a
nudo un uomo, che io amavo molto, è
l’essenza del cinema con
le sue gioie e i suoi dispiaceri. Anche leggendo Polanski si capisce che
scrivere un film è difficile. Anche lei mette in luce quanto sia rischioso
concepire un film. Ci spiega perché sceglieva un’inquadratura specifica. Chi ama
il cinema deve leggere questo libro. Dimostra che nulla è scontato.
François Truffaut:
Quando ho finito il servizio militare, la televisione non era ancora diffusa. La
Francia intera ascoltava la radio. Ascoltavamo le interviste di Robert Mallet.
Le raccolse in un libro, che comprai. Per me era una forma di comunicazione
eccezionale. L’intervista ritrascritta mi affascinava molto. Comprai anche delle
registrazioni di quelle interviste. Per me sono state un modello. Volevo
procedere con calma e discutere registrando.
Roman Polanski:
Il tuo libro è formidabile. A volte le tue domande sono persino più lunghe delle
risposte di Hitchcock. Non si tratta della solita intervista.
Bernard Pivot:
E’ un dialogo tra un giovane regista e un maestro. A proposito, la vita di
Hitchcock è stata il contrario di quella di Polanski. Ha vissuto una vita
semplice e pacata. Lei ha utilizzato una bella formula. “E’chiaro che Hitchcock
organizzò la propria esistenza facendo in modo che nessuno potesse colpirlo alle
spalle.”
François Truffaut:
In effetti le loro vite sono opposte! Lui ebbe una vita di frustrazioni. Non
credo che la vita di Roman sia così. Fin da subito Hitchcock si considerò un
emarginato, un anormale, un mostro.
Bernard Pivot:
Fisicamente?
François Truffaut:
Sbagliava, ma si vedeva così. Assunse un atteggiamento di diffidenza verso
tutti. Lo mantenne anche in America. Intimidiva e non faceva nulla per metterti
a tuo agio, tranne durante le riprese. Si mise volontariamente in disparte,
soffrendo. Proiettò sullo schermo le emozioni che non avrebbe mai vissuto. Le
ritraspose sullo schermo con una violenza inaudita.
Bernard Pivot:
Ascolti, Roman Polanski. “Hitchcock si sposò vergine a 25 anni”, non come lei!
“Non conobbe mai altre donne.” “Riuscì a rappresentare l’omicidio e l’adulterio
come scandali. Solo lui sapeva farlo e aveva il diritto di farlo.”
François Truffaut:
Come sono categorico!
Roman
Polanski:
Pover’uomo!
Bernard Pivot:
Come? Ha girato capolavori!
Roman Polanski:
Questo non cambia nulla.
François Truffaut:
Era un personaggio alla Henry James, pieno di frustrazioni.
Roman Polanski:
Non c’è legame tra le proprie opere e le delusioni personali.
François Truffaut:
Rinunciò alla vita.
Roman Polanski:
I capolavori non cambiano nulla.
Bernard Pivot:
Secondo Truffaut ha ritrasposto nei propri film la sua vita frustrata. Se avesse
avuto una vita diversa, non avrebbe girato film così.
François Truffaut:
Girò le scene d’amore come scene di omicidio e viceversa. In entrambi i casi si
tratta di uno sfogo violento. Per questo i suoi film sono così emozionanti. Sono
belli e atemporali. Se oggi vede un suo film girato nel 1940, non le sembra
un’opera datata. Le sembrerà un film dalla forma pura e concisa. Era pungente
quando uscì e lo è tuttora. Per questo mi piace.
Bernard Pivot:
Alla fine della sua vita Hitchcock rimpiangeva l’epoca delle star. Che
significa? Rimpiangeva le grandi dive?
François Truffaut:
I divi gli servivano, perché lavorava sulle situazioni piuttosto che sui
personaggi. Odiava i piccoli dettagli che rendono i film realistici. Gli
servivano attori che avessero già un’immagine. Con James Stewart poteva creare
subito un personaggio simpatico. Lui aveva già girato con Capra. Con Cary Grant
disponeva di un attore che aveva già sedotto in altri film. Negli ultimi anni
della sua vita ebbe dei crucci, specie quando perse Grace Kelly e Ingrid Bergman.
All’improvviso sparirono le attrici di cui aveva bisogno. Le cose divennero più
difficili.
Bernard Pivot:
Parlando con lei, fece una distinzione tra le attrici come Marylin Monroe e
quelle come Grace Kelly. Ci spieghi.
François Truffaut:
Odiava Marylin Monroe e Brigitte Bardot. Per lui avevano il sesso stampato sulla
faccia! Cercava l’allusione sessuale, l’ipocrisia. Amava la donna inglese
apparentemente timorata, capace di scatenarsi di punto in bianco. Proprio così!
Bernard Pivot:
Anche voi prediligete attrici così. Françoise Doleac e Catherine Deneuve sono
attrici che assomigliano abbastanza a…
François Truffaut:
Fra l’altro lui avrebbe voluto lavorare con la Deneuve.
Roman Polanski:
Se lavoro su una sceneggiatura con dei personaggi, mi interessa soprattutto
trovare gli interpreti adeguati.
Bernard Pivot:
Per Hitchcock le donne troppo sensuali toglievano suspense allo svolgimento
degli eventi. Mentre le donne eteree, fredde, bionde…
Roman Polanski:
Tutto dipende dalla storia che intendiamo raccontare.
Bernard Pivot:
Che ne pensa, Truffaut?
François Truffaut:
Roman lavora come Fellini. Vuole che i personaggi somiglino a bozzetti
caricaturali. Per esempio un animale.
Roman Polanski:
Si, a bozzetti.
François Truffaut:
E’ molto vicino a Fellini.
Bernard Pivot:
E lei? Hitchcock cercava figure pulite. E lei, invece? Anche lei distingue
diverse categorie di donne?
François Truffaut:
So a cosa si riferisce questa definizione. Nei film io preferisco dare risalto
ai personaggi. Se il personaggio è molto forte, la storia e l’azione sono meno
importanti. Amo i film in cui i personaggi sono importanti.
Ultima
apparizione pubblica di Truffaut – 14 aprile 1984
Luis Bunuel incontra Alfred Hitchcock
Sono tornato a Los Angeles
solo nel 1972 per la presentazione al festival del Fascino Discreto della
Borghesia. Ho ritrovato con gioia i viali tranquilli di Beverly Hills, la
sensazione d’ordine e di sicurezza, la cortesia Americana. Un giorno Georg Cukor
m’invitò a colazione, invito imprevisto perché non lo conoscevo. {…} Avremmo
trovato, ci diceva, “un po’ di amici”. In realtà fu una colazione memorabile.
Arrivati per primi nella bellissima casa di Cukor, che ci accolse calorosamente,
vedemmo poi entrare, semiportato da una specie di schiavo nero tutto muscoli, un
vecchio spettro tentennante, con l’occhio bendato, che riconobbi come John Ford.
Non lo avevo mai visto. Con mia grande sorpresa – pensavo che ignorasse tutto di
me – mi si avvicinò, sedette sul divano e disse che era felice del mio ritorno a
Hollywood. Mi annunciò perfino che stava preparando un film – “a big western” -.
Pochi mesi dopo, era già morto. In quel momento
udimmo
dei passettini strascicati sul pavimento. Mi voltai. Era Hitchcock, bello, roseo
e rotondo, che mi veniva incontro a braccia tese. Non avevo mai visto neanche
lui ma sapevo che mi aveva spesso lodato pubblicamente. Mi sedette accanto, poi
pretese di stare alla mia sinistra durante la colazione. Con una mano intorno al
mio collo, semisdraiato su di me, continuava a parlarmi della sua cantina, della
sua dieta (mangiava pochissimo) e soprattutto della gamba tagliata di Tristana:
“Ah, quella gamba…”. Poi arrivarono William Wiler, Billy Wilder, Georg Stevens,
Ruben Mamoulian, Robert Wise e un regista molto più giovane, Robert Mulligan.
Dopo gli aperitivi andammo a tavola, nella penombra di una grande sala da pranzo
illuminata da candelabri. In mio onore, si teneva una strana riunione di
fantasmi che non si erano mai trovati tutti insieme e che parlavano dei “good
old days”, dei bei tempi andati. Da […], quanti film intorno a quella tavola….
Dopopranzo, qualcuno ebbe l’idea di far venire un fotoreporter per scattare il
ritratto di famiglia. La fotografia doveva essere uno dei “collector’s items”
dell’anno. Sfortunatamente John Ford non c’è. Il suo schiavo nero era tornato a
prenderlo a metà colazione. Ci aveva salutati fiaccamente e se ne era andato per
non rivederci mai più, sbattendo
contro i tavoli. Brindammo tutti parecchie volte. Georg Stevens alzò il
bicchiere in omaggio “a quello che, malgrado le nostre differenze d’origine e di
credenze, ci riunisce intorno a questa tavola”. Mi alzai e accettai di brindare
con lui, ma sempre diffidente nei confronti della solidarietà culturale, sulla
quale si conta sempre un po’ troppo, “bevo”, gli dissi “ ma ho i miei dubbi”.
Il giorno dopo, Fritz Lang mi invitò a casa sua. Troppo stanco, non aveva potuto
venire a colazione da Cukor. Quell’anno, di anni, io ne avevo settantadue, e
Fritz Lang più di ottanta. Ci vedevamo per la prima volta. Chiacchierammo per
un’ora ed ebbi il tempo di dirgli quanto fossero stato decisivi, i suoi film,
nella scelta della mia vita. Poi, prima di lasciarlo – cosa che non faccio mai –
gli chiesi una foto con dedica. Alquanto sorpreso, ne cercò una e me la dedicò.
Ma era una foto della vecchiaia. Gli domandai se per caso non ne avesse anche
una degli anni venti, l’epoca di Destino e di Metropolis. Lo trovò e mi scrisse
una bellissima dedica. Poi lo lasciai e tornai in albergo. Non so bene che fine
abbiano fatto quelle fotografie. Una l’ho data a un cineasta messicano, Arturo
Ripstein.- L’altra dev’essere da qualche parte.
Luis
Bunuel da "Dei Miei Sospiri Estremi" - SE editore.