La
chiave di Hitchcock
Nel gergo
cinematografico il master non è un titolo di studio ma un’inquadratura
d’insieme che racchiude un’azione completa. Consiste in un totale quasi
sempre fisso nel quale sono disposti i personaggi in rapporto
all’ambiente.
Con altre inquadrature ravvicinate (campi medi, primi piani, eccetera)
si sottolineano poi le battute e le reazioni più importanti, e in
montaggio si comporrà l’intera sequenza secondo una logica di racconto
che è propria del cinema. Il master serve allo spettatore per
localizzare i fatti e al regista per stabilire con chiarezza la
geografia della scena: da questa geografia nascono delle regole seguendo
le quali si può un corretto uso della tecnica. Le scuole di cinema
spendono mesi per insegnare il precetto del master che si impara in
mezzora: precetto utile ma obsoleto, equivalente delle aste che una
volta ci imponevano alle elementari. E’ un sistema che ti assicura la
sufficienza, ma a livello espressivo vale zero, perché sviluppa la
rappresentazione in modo meccanico e prevedibile. Lo si tiene da conto
(il master) nei lavori televisivi, per girare alla svelta.
Il cinema di Hitchcock rifiuta il concetto di master come metodo, così
come respinge la tecnica fine a se stessa. Ogni inquadratura deve avere
per sé un significato, e l’insieme delle inquadrature che compongono la
scena deve esprimere un’emozione, non esibire un saggio di calligrafia.
In Notorius, ad esempio, c’è un movimento di macchina che sembra
eccentrico ed è invece indispensabile. E’ quel famoso dolly a scendere
che va dal totale alla testa fino al dettaglio della chiave che Ingrid
Bergman stringe nella mano sinistra. Hitchcock ci mostra qui l’essenza
del suo credo. Siamo in un salone affollato di gente per un ricevimento,
ma nell’atmosfera mondana si nasconde un piccolo elemento di vitale
importanza, il punto cruciale del dramma. Basta prendere alla lettera
questa frase – dice Hitchcock – e darle un’immediata traduzione visiva.
Si parte dunque dall’immagine più ampia (il totale del salone) e si va
giù fino a svelare l’elemento segreto (la chiave nella mano). Questo è
il modo per dire in una sola inquadratura: tutti si stanno divertendo ma
non si accorgono che c’è tempesta nell’aria, una tempesta racchiusa in
una piccola chiave.
«Quando giro un film – confessava ancora Hitchcock – io non sono sul
set; io sto guardando lo schermo». Voleva dire che è quella dello
schermo l’unica geografia che conta, anche al momento delle riprese.
Tutto il resto è master
Gianni Amelio,
(Regista)
- (Tratto dalla rivista Film-TV) |